Don Vito Cascioferro

Vito Cascioferro

Apena i migranti mettevano piedi sul molo di Manhattan  venivano sfruttati da un mini racket costituito dagli stessi italoamericani. Costoro proponevano ai nuovi arrivati una casa e un lavoro e in cambio ottenevano una percentuale sulla paga.  Impegnato in questo lucroso traffico di uomini e donne disperati fu il capomafia Vito Cascioferro.  Quest’ultimo, come vedremo più avanti,  può essere considerato il tramite tra le organizzazioni criminali dalla Sicilia con quelle già ramificate negli Stati Uniti.  Andiamo a consultare il dossier che abbiamo creato su Vito Cascioferro.  Nasce a Palermo il 22 gennaio 1862. Il padre Accursio era un campiere, ovvero guardiano di latifondi e nello specifico quelli del Barone Inglese. Fu proprio il grande proprietario terriero che spedisce Vito a sorvegliare le sue terre, così il figlio successe al padre in questo ruolo. La base operativa di Cascioferro fu Bisacquino a pochi chilometri da Corleone. Vito Cascioferro crebbe nella casa del Barone Inglese, dove assunse i modi e gli atteggiamenti di un nobile. Era un uomo alto, piacente, con una barbetta ben curata, vestiva abiti eleganti e fumava la pipa. Il suo portamento e la sua figura autorevole gli donarono quell’aura tipica  dell’uomo  di rispetto, tanto che i contadini anteponevano al suo nome il titolo onorifico di «don». Nonostante le sue origini umili, si impose ai notabili di Bisacquino e li costrinse a accettarlo come socio nel loro ristretto circolo dei civili. Lì si distinse quale giocatore di Bisso, una specie di poker. Sposò molto giovane Brigida Giaccone una maestra di Bisacquino che gli insegnò a leggere e scrivere. Il primo reato con il quale fu macchiata la sua fedina penale fu un’aggressione nel 1884. A seguire fu inquisito per reati quali, incendi dolosi, minacce ed estorsioni. 

Vito Cascioferro

Ai tempi dei fasci siciliani si avvicinò ai movimenti socialisti e anarchici che chiedevano l’occupazione dei latifondi, tanto da emergere quale presidente dei Fasci di Bisacquino nel 1892. A    causa del suo ruolo di capo popolo nel 1894 gli viene imposto il domicilio coatto, pertanto Cascioferro per evitare la misura coercitiva riparò per un anno in Tunisia, da dove rientrò scampato il pericolo. In quegli anni unì il suo animo anarchico e la sua spregiudicata ambizione per affermare il suo potere al di là della legalità. In un momento di assenza da parte delle istituzioni statali un personaggio come Cascioferro riuscì facilmente a sostituirsi alle stesse istituzioni. Grazie all’adesione alla loggia massonica e al circolo dei civili Cascioferro si avvicinò ai circoli mafiosi di Palermo. La sua spregiudicata ambivalenza gli permette di costruire una rete di traffici, connivenze, favori, omicidi, avvalendosi anche del sostegno popolare che vede in lui un paladino degli oppressi, in quel momento diventa agli occhi dei suoi conterranei un Padrino. Per coprire i suoi traffici illegali diventa un informatore della polizia facendo delazioni grazie alle notizie apprese durante i suoi trascorsi rivoluzionari.  In contraccambio, grazie alla intercessione del Prefetto di Palermo, la polizia si disinteressa dei suoi affari illeciti.  Nel 1898, esattamente a giugno, fu coinvolto in un caso eclatante, ovvero  il  rapimento della nobile diciannovenne baronessa Clorinda Peritelli di Valpetrosa. Processato per questa vicenda ricevette una condanna a tre anni.

New York

Rilasciato nel 1900, per sfuggire alla sorveglianza speciale della polizia in Sicilia, partì per gli Stati Uniti. Arrivò a New York City alla fine di settembre 1901. Con lo scopo di controllare meglio il traffico dei migranti alloggiò presso la sorella a Manhattan. A Little Italy diventa una figura di spicco degli ambienti mafiosi. Con la copertura di importatore di frutta e alimenti, Cascioferro crea una rete tra le famiglie mafiose siciliane in America e fa da tramite con la mafia siciliana. Si può attribuire a lui l’invenzione di Cosa Nostra negli Stati Uniti e la creazione del racket, parola che deriva dal nostro “ricatto”. A lui è attribuita la parola ‘pizzo.’ Termine che deriva dalla frase “Fateci bagnare u’pizzu”, cioè il becco. Questa era la formula intimidatoria con cui gli estorsori della gang di Cascioferro intimavano il pagamento del pizzo alle vittime designate. Cascioferro fu colui che esportò dalla Sicilia agli Stati Uniti la pratica estorsiva della “protezione continua” in cambio di denaro . Raccomandava ai suoi adepti:

Non mandare le persone in fallimento con ridicole richieste di denaro. Invece  offrirgli protezione, aiutali a far prosperare i loro affari, e non solo saranno felici di pagare, ma ti baceranno le mani per gratitudine”. 

La prima cellula di cui si ha notizia della Mano Nera fu quella che vede al vertice Don Vito Cascioferro che diventerà il primo pa drino della mafia italo americana. Egli pochi giorni dopo il suo arrivo ricevette una missiva nella quale veniva indicato con l’appellativo di Don Vito. Il mittente lo invitava a «mangiare un piatto di maccheroni» con Giuseppe Morello, che come vedremo dopo, sarà considerato il primo capo della famiglia mafiosa di New York, Giuseppe Fontana e altri quattro uomini d’onore. Cascio Ferro si introdusse subito nella criminalità organizzata newyorkese, e oltre a organizzare e a impartire lezioni a Morello, entrò in contatto con la banda di falsari siciliani guidata da Salvatore Clemente e da Stella Fraute. Nel 1902 il boss di Bisacquino  per poco non veniva condannato, a seguito degli arresti effettuati dai servizi segreti americani a carico della Fraute  i dei suoi complici, per la produzione e la spendita di dollari falsi. 

Don Vito viene anche accolto come un rivoluzionario dagli anarchici italiani immigrati tra i quali cerca manovalanza per i suoi crimini. E’ proprio dagli anarchici che Cascioferro prende il simbolo  della Mano Nera. L’ambiente anarchico americano era il risultato dell’oppressione degli italiani nella società americana ed  era spesso contiguo a quello della mafia. In questo contesto, come già fece in Sicilia, Vito Cascioferro si inserisce come una fonte della polizia e  probabilmente non solo di quella italiana, ma anche con quella americana.  

Joe Petrosino

Nel settembre del 1904, il poliziotto americano Joe Petrosino, individuò Cascio Ferro a New Orleans dove si era rifugiato, per sfuggire alla cattura poichè implicato nel famosissimo caso dell’omicidio del barale. A causa dell’attività dell’allora celebre sergente del Police Department di New York  fu costretto a fare ritorno in Italia. Ma di questo ne parleremo più avanti. Di fatto la domanda di cittadinanza americana del mafioso di Bisacquino fu conseguentemente bloccata come il suo sogno di continuare a far proliferare la sua carriera criminale in quel paese.    Ciò non fu mai dimenticato da Vito Cascio Ferro che da quel momento portò sempre nel portafogli la foto del detective italo americano, giurando eterna vendetta. Giunto in Sicilia ritornò a essere il riferimento di diverse  famiglie mafiose quali quelle operanti nei comuni di Bisacquino, Burgio, Campofiorito, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Corleone e Villafranca Sicula, oltre ad alcuni quartieri della città di Palermo.

Così lo descrive il giornalista Luigi Barzini che alimentò il suo mito: 

Don Vito ha portato l’organizzazione alla sua massima perfezione senza ricorrere indebitamente alla violenza. Il leader mafioso che sparge cadaveri in tutta l’isola per raggiungere il suo obiettivo è considerato inetto quanto lo statista che deve condurre guerre aggressive. Don Vito governava e ispirava paura principalmente attraverso l’uso delle sue grandi qualità e della sua naturale ascesa. Il suo aspetto maestoso lo ha aiutato. … I suoi modi erano principeschi, il suo comportamento umile ma maestoso. Era amato da tutti. Essendo molto generoso per natura, non ha mai rifiutato una richiesta di aiuto e dispensato milioni in prestiti, doni e atti filantropici. Personalmente farebbe di tutto per riparare a un torto. Quando viaggiava, ogni sindaco, vestito con i suoi abiti migliori, lo aspettava all’ingresso del suo villaggio, gli baciava le mani e gli rendeva omaggio, come se fosse un re.”

Secondo i rapporti della polizia italiana Cascioferro era notoriamente associato alla mafia di alto rango, conducendo una vita di lusso, andando a teatro, nei caffè, giocando alte somme al Circolo dei Civili, un club riservato a gentiluomini.  Nel 1923, con l’avvento del fascismo, per Cascio Ferro cambiò il vento. Il sottoprefetto di Corleone in una informativa inviata al Ministero dell’Interno annotò a carico del mafioso “è uno dei peggiori delinquenti, perfettamente capace di commettere qualunque crimine“. Nel maggio 1925 fu tratto in arresto come mandante di un omicidio, ma nonostante ciò, come spesso accadde venne rilasciato. Ma i suoi guai non erano certo finiti. Il suo nemico divenne uno degli uomini forti del fascismo ovvero il prefetto Cesare Mori. Quest’ultimo aveva ricevuto ordini ben precisi dal Duce  Benito Mussolini di distruggere la mafia. Pertanto nel 1926 nel corso di una vasta operazione  nella zona che comprendeva i comuni di Bisacquino e  Corleone trasse in arresto Cascioferro assiema altre 50 presunti mafiosi. Prima di essere catturato  il mafioso disse al figlio, che avrebbe voluto intervenire per sottrarlo all’arresto,  “I tempi sono cambiati”.  Venne arrestato esattamente a Sambuca di Sicilia “Zabut” e tradotto nel carcere di Sciacca. I capi d’imputazione a carico del capomafia erano numerosi e gravissimi:   incriminato per aver partecipato a 20 omicidi, otto tentati omicidi, cinque rapine a mano armata, 37 episodi di estorsione,  53 altri reati, tra cui violenza privata e minacce.

Il 27 giugno 1930 arrivò la sentenza a lui molto sfavorevole fu infatti condannato all’ergastolo, con l’aggiunta di nove anni di segregazione, per la vecchia accusa dell’omicidio di Gioacchino Lo VoiCascioferro era stato arrestato circa 69 volte prima, ed era sempre stato assolto, ma questa volta come aveva ben intuito e riferito al figlio, la situazione era cambiata. Durante il processo lo stesso, appena il giudice gli diede la parola, dichiarò alla Corte d’Assise di Agrigento: 

“Signori, poiché non avete potuto ottenere la prova di nessuno dei numerosi crimini che ho commesso, siete stati ridotti a condannarmi per l’unico che non ho mai commesso“. La pubblicità di regime diede ampio spazio alla condanna di Cascioferro. Furono stampati e pubblicati manifesti con immagini di Cascioferro e il testo della sentenza del tribunale. C’è incertezza sulla data esatta della sua morte. Secondo la fonte più accreditata morì per cause naturali nel 1945, mentre scontava la pena nel carcere dell’Ucciardone a Palermo. Altri affermano che morì o nel carcere di Pozzuoli o in quello di dell’isola di Procida nel 1943 o nel 1942. A nostro avviso  più  che la data e il luogo della morte è emblematico il fatto che morì in carcere come un comune delinquente nonostante fosse stato considerato uno dei  capi della mafia di quei tempi sia in Italia che negli USA. 

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