SALVATORE D’AQUILA

Salvatore D’Aquila

Nel 1910, dopo l’arresto del capo dei capi Giuseppe Morello e del cognato Ignazio Lupo detto the Wolf, per il reato di contraffazione e la successiva condanna, si creò un vuoto di potere al vertice della prima famiglia mafiosa di New York. Per riempirlo le famiglie mafiose elessero D’Aquila, Salvatore inteso Totò o Zio Totò che a quel punto fu considerato come il boss dei boss della mafia americana. Nacque a Palermo nel 1873. Giunse a New York nel 1904 come importatore di formaggi. D’Aquila ha iniziato la sua carriera nella malavita come un soldato di Giuseppe Morello e Ignazio Lupo e operava nel Bronx. Appena eletto si assicurò il sostegno degli alleati di tutte le famiglie mafiose degli stati Uniti e cercò di controllare tutte le famiglie di New York. Era molto riservato e guardingo. Nonostante la grande forza, D’Aquila non riuscì a unire e controllare tutti i mafiosi di New York City. Alcune zone abitate dagli italiani di Manhattan nel Lower East Side gli sfuggirono di mano. Tra questi vanno citati i fratellastri di Morello, Nicolas, Vincent e Ciro Terranova, e i loro cugini Lomonte.Quando Morello e Lupo furono rilasciati dalla prigione federale nel 1920, D’Aquila al fine di eliminare i potenziali rivali emise condanne a morte contro i suoi due ex boss e dieci dei loro più stretti alleati. Il 7 maggio 1922, il boss della famiglia criminale Morello Vincenzo Terranova, fu ucciso in una sparatoria nei pressi di casa sua sulla 116esima strada. Valenti fu sospettato di essere personalmente responsabile e per rinsaldare l’accordo con D’Aquila, gli promise di eliminare Giuseppe Masseria, il nuovo boss della mafia di Manhattan, che nel frattempo era diventato il leader della fazione Morello. Grazie all’astuzia e la fortuna, Masseria sopravvisse ai tentativi di omicidio portati da Valenti che a sua volta fu ucciso nel 1922 dai sicari di Masseria. I nemici di D’Aquila nonostante tutto non lo dimenticarono. Colui che fu il capo dei capi per 18 anni fu ucciso la sera del 10 ottobre del 1928.

di Fabio Fabiano

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